Il thè olografico. Metaromanzo simbolico
- Alberto Tebaldi

- 5 feb 2024
- Tempo di lettura: 7 min
Aggiornamento: 16 set
PROCESSI EVOLUTIVI
di Alberto Tebaldi ©2024

IL THÈ OLOGRAFICO
Prendendo spunto da un breve episodio del metaromanzo simbolico di cui sono autore (pubblicato nel 2015) dal titolo “i 5 numeri del Prof. Aehkl Ukzña”, l’intento di questo articolo sarà quello di evidenziare come sia possibile veicolare messaggi e insegnamenti a un livello subliminale con il chiaro obiettivo di “parlare” direttamente all’essere insito in ognuno di noi bypassando, nel caso specifico, la mente del lettore.
L’episodio in questione si intitola “Il thè olografico”. Relativamente al capitolo 4 "Sottili fuliggini" in cui l’episodio è inserito, quest'ultimo, ad una lettura superficiale, risulta apparentemente privo di senso, slegato con tutto ciò precedentemente descritto.
Ma prima di passare all’analisi vi invito a leggere l’episodio stesso, nella speranza che riusciate, sebbene in poche righe, a immergervi nella narrazione.
II. Il thè olografico
La visuale iniziò ad apparire distorta. Un numero imprecisato di gocce cominciarono a scivolare sulla superficie delle ampie vetrate, disegnando rigagnoli astratti i cui percorsi non potevano trovare giustificazione se non nelle imperscrutabili leggi del Caos. Aehkl tamburellava nervosamente con le dita sul tavolo, in attesa di quel benedetto caffè il cui arrivo avrebbe, finalmente, interrotto la noiosa e stupida conversazione sull’improvviso guasto della Virgin Trains, direzione Waverley Station con cambio a Birmingham, che aveva condannato lui e quel vecchio scozzese maleodorante, compagni di sventura, a quella lunga attesa nel Rocket Pub, a cinque minuti di pioggia dalla stazione di London Euston.
Quel signore, dal cappotto sudicio e liso, aveva ordinato dell’acqua bollente discutendo piuttosto animatamente con l’anziana e abulica cameriera sull’effettiva qualità dell’Earl Grey a £ 1,50 da lui selezionato, la cui bustina, a suo dire, appariva per quel prezzo intollerabilmente molliccia e inumidita. A giudicare dal suo aspetto, l’iracondo sembrava aver superato la settantina, o almeno così pareva. Seppur cercando di essere cortese Aehkl non riusciva proprio a nascondere la sua distrazione, venendo puntualmente ripreso da quell’imbarazzante ed invadente omone il quale, alzando il tono della voce, risucchiava sistematicamente il ragazzo nel suo vorticoso e insulso blaterare che, Aehkl se lo sentiva, sarebbe a breve deflagrato in insopportabili e inopportune questioni politiche legate al mal governo del proprio Paese.
Fuori, intanto, era quasi buio e la gelida pioggia, oramai battente, non accennava minimamente a diminuire d’intensità.
Il caffè, finalmente, arrivò e dal vassoio, senza nemmeno guardarlo e con aria corrucciata, la cameriera porse sgarbatamente la teiera al vecchio, voltandosi di corsa in direzione del bancone.
Il thè sembrò placare quel vulcano in eruzione il quale, all’improvviso, si chiuse nel suo mondo e, totalmente assorto dal suo daffare, iniziò una specie di rituale. Avvolto dal vapore di quell’acqua lavica immerse lentamente la bustina, come in attesa di chissà quale reazione chimica. Per un istante Aehkl si ritrovò al tavolo in compagnia di un assennato alchimista intento, ora, ad osservare lo scorrere dosato dei granelli di zucchero, quasi intimorito da una possibile esplosione.
Nel frattempo, dalla vetrata, decine di persone infreddolite e accucciate sotto gli ombrelli sfilavano a passo svelto lungo una Euston Road illuminata dalle insegne, dalle finestre accese e da un pugno di luci rosse di Natale che, a guardare bene, sembravano buttate lì a caso, in attesa solo d’essere rimosse.
Le gocce velavano il vetro e, attraverso l’ubriacante sovrapporsi di luce e riflessi, Aehkl scorse improvvisamente il passo rilassato di una ragazzina dai capelli cinabro, intrappolati in una lunga e spessa treccia fatta ad arte e lasciata cadere intenzionalmente in avanti, sopra una spalla.
Come a volte capita quando si vivono particolari momenti, i sensi del giovane Ukzña ebbero l’inaspettata capacità di rallentare il Tempo riuscendo, nel silenzio più assoluto, a percepire la scena nella sua completezza.
Quella che nel buio, a un primo sguardo, gli era sembrata una ragazzina si rivelò, al contrario, una giovane donna la quale, incurante della pioggia si dirigeva lentamente verso l’entrata del locale. Aehkl ne seguì il passo senza staccare mai gli occhi fin quando, dalla sua angolazione, gli fu ancora possibile.
Dopo infiniti attimi, la vide entrare. La donna, chiusa la porta alle sue spalle, si tolse il soprabito intriso d’acqua e si accomodò decisa nell’unico tavolo rimasto libero, tirando fuori dalla borsa un grosso quaderno dall’aspetto vissuto, gonfio di pagine ondulate e ingiallite dalle quali i pensieri pareva potessero fuoriuscire da un momento all’altro. Sulla copertina, dalla tessitura anticata sul marrone chiaro, c’era scritto qualcosa. Aehkl non poté neppur provare a leggere che il Tempo, come in seguito a un rinnovato sparo, riprese improvvisamente a scorrere, rompendo la quiete della sua mente nel fragoroso e irritante chiacchiericcio dei clienti del Pub.
Si accorse, con sorpresa, che nel frattempo il vecchio al suo tavolo se ne era andato, lasciando la tazza ancora ricolma del thè fumante con accanto, tra nuvole appiattite di zucchero rovesciato, un piccolo foglietto stropicciato scritto a mano, ripiegato a croce in quattro parti.
La donna dai capelli rossi sembrò, per un fugace attimo, osservare Aehkl il quale, ignaro, afferrò il foglietto e, senza nemmeno aprirlo, lo ripose furtivamente nella tasca della giacca.
Quando il ragazzo alzò lo sguardo, la signora misteriosa era già intenta a scrivere sul suo quaderno, come se un’improvvisa ispirazione l’avesse colpita. Lui, impudente, iniziò a scrutarla. La sua pelle era incredibilmente chiara e sottile. Sul collo, lievemente segnato, alcuni lacci capillari di cuoio scuro parevano in procinto di spezzarsi, quasi a volersi arrendere alla gravità metallica di quegli strani pendenti attratti dall’intrigante scollatura. Era elegante e femminile. Gli occhi scuri, bassi e concentrati, apparivano lievemente truccati, perfettamente adornati da sopracciglie naturali che tradivano il reale castano scuro dei suoi capelli. Immersa nella luce al neon che ne offuscava i contorni, quella donna sembrava una proiezione olografica. Lo sguardo di Aehkl ne rimase a lungo prigioniero e, nel fissarla, credette d’essere in un sogno lucido.
La giornata volse al termine, ma quella duplice esperienza sincronica, apparentemente casuale, avrebbe un giorno fornito importanti risposte. Ma questo il giovane Aehkl non poteva ancora saperlo.
ANALISI
“Il thè olografico” si apre con una descrizione piuttosto insolita, fin troppo marcata e stucchevole di nomi di linee ferroviarie, stazioni, città, pub; e ancora, descrizioni di cappotti, tazze, prezzi, pioggia, bustine di thè, ecc.
L’intento è quello di voler trascinare il lettore (quasi a forza) con i piedi per terra, riprecipitandolo nella realtà condivisa. Il tentativo generale dell’intero libro è, infatti, quello di “manipolare” la mente del lettore trascinandolo, a più riprese, ora nella realtà ora nel sogno, con il preciso intento di creare degli urti, degli shock, in sostanza di scuoterlo, seppur a livello inconscio, e di determinarne un principio di risveglio dell’attenzione. Il vecchio sudicio, per esempio, con l’improvvisa irruzione nel racconto compenetra la realtà condivisa come elemento di disturbo che fluttua, per l’appunto, tra realtà e sogno.
Nel frattempo, ancora un richiamo al colore rosso (stavolta attraverso le luci di Natale) che porta con sé il messaggio che, prima o poi, esso sarà rimosso in funzione del processo di crescita. (Questa parte sarà più comprensibile a chi avendo il libro avrà letto l’episodio precedente intitolato, per l'appunto, “Rosso umido”).
Entra in scena la figura femminile con i capelli cinabro (ancora il rosso) raccolti in una treccia, simbolo di energia (qualcosa che ha a che vedere con il “fare”, con il lavoro esoterico) nel suo andamento ondulatorio, di vibrazione, di affinità (di “intreccio” con Aehkl, come vedremo) e di azione e forza creatrice, nonché, al pari del Caduceo, la capacità di dominare il Caos (simboleggiato, sin dall’inizio dell’episodio, dalle gocce di pioggia sulla vetrata e dal chiacchiericcio del Pub (il pensiero automatico, pensiero associativo) quest’ultimo, in particolare, a rappresentare la mente di Aehkl, motivo per cui la donna, a differenza di tutti gli altri, non si ripara con l’ombrello.
La treccia, come detto assimilabile al Caduceo, vuol essere conseguentemente un forte rimando all’Ermetismo, dunque alla Conoscenza iniziatica che richiede dedizione e impegno (ancora, dunque, un richiamo subliminale alla Ricerca).
Il vecchio rappresenta l’Intuito.
“…lasciando… un piccolo foglietto stropicciato… ripiegato a croce in quattro parti”.
(la frase si riferisce in generale a quello che sarà la futura ideazione da parte di Aehkl del Modello Policromo Coscienziale MPC3D, descritto nel capitolo successivo e, in particolare, alle speculazioni sui tre piani dimensionali contenuti nell’icosaedro, descritto più avanti).
La donna, che rappresenta l’aspetto femminile di Aehkl, è “…incurante della pioggia…”, ovvero opera al di fuori del Caos inteso come condizionamento (il blaterare continuo nella testa dell’Uomo moderno inconsapevole, dell’Uomo ordinario).
Ella simboleggia l’emisfero destro. Rappresenta, dunque, il lato creativo di Aehkl, ancora in procinto di sciogliere i nodi e diventare totalmente libera/o “…dai capelli cinabro intrappolati in una lunga e spessa treccia”.
In sostanza, l’episodio racconta come Aehkl, “toccato” dalla Creatività (il femminino, per l’appunto) entra in possesso dell’intuizione (simboleggiata dal vecchio).
Per finire, la presenza femminile al tavolo viene indicata nell’arco di tre brevi paragrafi prima come una ragazzina, poi come una giovane donna e infine come una signora. Questo apparente errore (legamonismo) sta a simboleggiare la crescita in consapevolezza di Aehkl, proprio della sua parte creativa, della sua parte “divina”.
Conclusioni
Il linguaggio simbolico è un linguaggio che appartiene all’Uomo dalla notte dei tempi; è un linguaggio che rompe il muro delle nostre più radicate convinzioni, dei nostri pregiudizi, delle nostre credenze. È il linguaggio dell’Anima, anello di congiunzione tra il mondo fisico e il mondo metafisico. È il linguaggio di trasmissione capace di dialogare con il tuo intimo più profondo, con il tuo sé più arcaico, con quella parte di te che è stata soffocata dalla famiglia, dall’istruzione scolastica e da una società il cui interesse è quello di allontanarti sempre più dalla Conoscenza.
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